E’ passato un anno dalla visita di Papa Francesco a Lampedusa.
Ricordo quel giorno, guardai la diretta in televisione con un foglio in mano ed una penna per seguire, anche professionalmente, il suo discorso ma le sue parole furono così dirompenti e così tremendamente vere da non avere bisogno di appunti per ricordarle: arrivarono dritte, descrivendo con nome e cognome quella globalizzazione dell’indifferenza incapace di farci sentire l’altro.
“La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri” e quelle bolle di sapone “che sono belle, ma non sono nulla, che sono l’illusione del futile, del provvisorio” ci hanno anestetizzato così tanto il cuore da farci girare dall’altra parte della strada alla vista di un fratello mezzo morto sul ciglio della strada.
Non sappiamo più piangere per l’altro, non sappiamo ascoltare più il grido e il lamento dell’altro e spesso riusciamo, con ipocrisia, a liquidare la notizia al telegiornale della morte di un immigrato con l’espressione “poverino”. La sofferenza dell’altro non è affare nostro e anzi distoglie dalla corsa malata a un potere che vuole gongolare sempre più un narcisismo imperante piuttosto che servire.
“Parole dure, come cazzotti” così definiva Gian Antonio Stella le parole di Papa Francesco all’indomani della visita a Lampedusa nell’editoriale del Corriere della sera e quella richiesta di perdono ai morti nel mare e’ stato uno schiaffo alle coscienze di chi deve collaborare a che il mediterraneo da culla di civiltà che era non diventi un cimitero.
Nessun paese può affrontare il fenomeno migratorio da solo, serve collaborazione tra gli Stati e i media, come scrisse il Papa nella giornata del rifugiato, sono chiamati a smascherare quegli stereotipi che non informano correttamente.
Sono testimonial dell’UNHCR e sento particolarmente questo argomento: tutte le persone che lasciano il proprio paese scappano dalla morte per cercare una nuova vita uccisa, quando va bene, dal pregiudizio, dall’indifferenza e dall’emarginazione.
A Lampedusa si lavora tanto, con il cuore, per accogliere questi fratelli ma la gente del posto non può essere lasciata sola serve l’impegno di tutti per fare in modo che la cultura dello scarto prodotta dal relativismo caratterizzante questo nostro periodo storico, sia ribaltata e trasformata nella cultura dell’incontro e dell’amore.