Ad ottobre, in quanto testimonial dell’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ho avuto il dono di poter abbracciare e condividere la quotidianità dei rifugiati colombiani in Ecuador.
È stata un’esperienza fortissima, un’esperienza che mi ha ulteriormente convinto di quanto il pregiudizio possa uccidere le persone. I rifugiati, a prescindere dall’area geografica, sono persone COSTRETTE a lasciare la propria terra, le proprie radici perché altrimenti vengono uccisi.
Lo sa molto bene Lupe, una donna colombiana di 39 anni a cui i narcotrafficanti hanno ucciso gli amici squartandoli con una motosega. Il grande mercato internazionale di droga richiede terre su cui coltivare marijuana e tutti quegli agricoltori che provano a ribellarsi al furto delle loro proprietà’ vengono immediatamente eliminati. Lupe e’ stata violentata, sul corpo ha i tagli provocati dalla riluttante barbarie e nel cuore le ferite che mai riusciranno a rimarginarsi. Oggi vive in una palude di fango, ai piedi di una montagna in una baracca di legno, nascosta sia dagli aggressori che non accettano la disobbedienza di una loro vittima ma anche da una società’ non sempre e’ pronta e capace di accogliere chi soffre. Lupe non vuole rubare lavoro agli ecuadoriani, non e’ una prostituta, non e’ ‘lo straniero colonizzante’.
Lupe, come TUTTI gli altri rifugiati, e’ una persona, una persona che lotta per continuare a vivere, che ha dovuto lasciare la propria terra. Come lei, tanti altri sono costretti a scappare. Voi che avreste fatto? I rifugiati raggiungono altri paesi, sognano una nuova vita, ma spesso, quel viaggio con il cuore gonfio di dolore e paura viene ripagato con emarginazione, rifiuto, e quel pregiudizio di cui parlavo all’inizio, un pregiudizio capace di uccidere spiritualmente e psicologicamente per una seconda volta. Chi non riesce a capire questo, chi non sa sentire il pianto di queste persone rivestendole di luoghi comuni lontani dalla realtà e’, a mio avviso, un omicida della civiltà.
Ad ognuno di noi può accadere un dramma di questo tipo e fino a che non riusciamo a rapportarci con chi soffre nella verità, sentendoci parte di una grande famiglia umana, non riusciremo ad essere veramente felici. Non dobbiamo fare qualcosa per qualcuno ma ‘CON’ qualcuno!
È quella particella che cambia le cose e per concludere, in relazione a quello che ho toccato per mano ai confini della Colombia, permettetemi di dare un messaggio a tutte quelle persone che fanno uso di sostanze: attenzione, con le vostre scelte non fate soltanto del male a voi stessi ma diventate automaticamente conniventi di quella barbarie che continua silenziosamente a provocare la morte e le lacrime di persone innocenti.